
Sarà la primavera, sarà l’empasse che ha colpito il Parlamento ma pare che la potestà legislativa sia ormai in mano alla magistratura. Une delle ultime notizie arriva sul Servizio civile nazionale ed è rappresentata dalle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Milano che, respingendo il ricorso del governo sulla precedente ordinanza che intimava di aprire le porte del servizio civile anche agli stranieri, cancella con un colpo di spugna la storia di questa istituzione che trae origine dal concetto di difesa (non armata) della Patria.
Ciò che implicitamente chiedono i magistrati Angiola Sbordone, Laura Trogni e Monica Vitale, è una modifica nella sostanza della legge che istituì il Servizio civile nazionale nel 2001: abrogare il requisito della cittadinanza italiana, poiché la difesa della Patria non è più “in auge” e, secondo la Corte d’Appello, il concetto di solidarietà è più che sufficiente a giustificare l’esistenza del servizio civile.
Sfugge al collegio giudicante che l’intenzione del legislatore fu proprio quella di mantenere, anche dopo la fine del servizio militare obbligatorio, quella “leva volontaria” che è il servizio civile, inesorabilmente legato al concetto di difesa della Patria. Una porta aperta ogni anno a migliaia di ragazzi italiani che hanno voglia di dedicarsi alla comunità, difendendone in prima persona la coesione sociale e il patrimonio culturale. Aiutare gli anziani nel quotidiano, controllare un sito archeologico, custodire un parco, aiutare le organizzazioni della Protezione civile: tutto ciò è difesa della Patria, sacro dovere del cittadino (art. 52 Cost.).
Considerato che la Costituzione della Repubblica italiana fu scritta tra il 1946 e il 1947, subito dopo la seconda guerra mondiale, bisogna prendere in considerazione una revisione del concetto di patria. Se non è più quella dei sacri confini nazionali disegnati da guerre e trattati, possiamo dire di sentirci almeno europei; così è scritto sul passaporto e così è la realtà dei fatti, potendo percorrere la strada che va da Lisbona a Tallinn senza incontrare mai una dogana.
A questo punto, logica vorrebbe di estendere l’invito del Servizio civile nazionale anche ai cittadini dell’Unione europea residenti in Italia; ai quali è già riconosciuto, se qualcuno non lo sapesse, il diritto di voto alle elezioni comunali. In nome dell’appartenenza alla comune patria europea, potremmo concretizzare l’istituzione di un servizio civile europeo o un’osmosi con il Servizio volontario europeo.
L’Italia è di chi la ama e di chi è disposto a difenderla. Tra questi rientrano tutti i cittadini, ope legis, ma anche tantissimi stranieri, specialmente giovani, che non sono cittadini sulla carta ma si sentono italiani dentro. Se non è giusto chiudere loro le porte, ciò che auspichiamo è una revisione della legge sulla concessione della cittadinanza, non per darla a tutti i nati sul suolo italiano in maniera indiscriminata, bensì riconoscere (a chi ce l’ha) la volontà di essere parte della comunità nazionale. A tutti gli stranieri che dell’italianità se ne fregano, resterebbe sempre la possibilità di impegnarsi liberamente nella solidarietà e nel volontariato, ma il servizio civile è un’altra cosa.