
Le più grandi tragedie della storia si sono sempre verificate quando l’uomo ha creduto di essere il dio della terra. Un tipo di uomo, questo, colpito da quella pericolosa sindrome che è il delirio di onnipotenza. Nei casi peggiori, non solo tutti gli elementi naturali si possono e si devono piegare alla volontà umana ma anche le persone sono tenute a chinare il capo silenti di fronte alle “magnifiche sorti e progressive”.
La naturale tendenza umana a superare i limiti, a migliorare se stessi, diventa patologica quando l’eccezione diventa normalità, quando è il vivere quotidiano che si sposta oltre il limite. Ogni tanto, però, succede che la marcia baldanzosa di alcuni si fermi inesorabilmente contro il muro erto da quelle leggi che non possono essere abrogate da niente e da nessuno.
È successo durante le rivoluzioni industriali e quella francese; è successo in maniera feroce con le due guerre mondiali – la seconda delle quali finita con un doppio acme del delirio di onnipotenza dell’uomo, come un mostro bicefalo: lo sterminio della popolazione ebraica d’Europa e l’inferno lanciato su due città giapponesi per il tramite di altrettante bombe atomiche.
E proprio l’effetto di due bombe di questo tipo è ciò che si verificò esattamente mezzo secolo fa tra Erto, Casso e Longarone, tre paesi incastonati tra il Vajont e il Piave. Nessuna guerra, però, nessun bombardamento fu la causa delle duemila vittime: furono la superbia e l’incoscienza di alcuni a lasciar morire nelle loro case famiglie intere – erano le 22,39 quando franò mezza montagna sul lago artificiale – rassicurate che tutto fosse tenuto sotto controllo.
Intere comunità furono schernite, maltrattate e violentate fino all’epilogo apocalittico. Sepolte sotto una coltre di detriti, spazzate via da milioni di metri cubi d’acqua, annichilite dall’onda d’urto dello spostamento d’aria. Se mettiamo vicine due fotografie di Hiroshima e Longarone le differenze sono soltanto sull’estensione della superficie. Sembra un romanzo horror intriso di sadismo ma è ciò che avvenne nel 1963 in una stretta valle a cavallo tra Friuli e Veneto ad opera di stimati professionisti con l’avallo delle autorità costituite.
Sui conti con la giustizia e le responsabilità di questa immane tragedia è stato detto e scritto molto. Quello che vorremmo fosse compreso ed accettato per sempre è che non si può pensare di calpestare tutto e tutti in nome del progresso o del profitto. Quando la natura si ribella è sempre troppo tardi.