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In Israele la magia di culture e solidarietà

Chi si aspettava un grande accampamento militare, crateri di bombardamenti e coprifuoco, è rimasto deluso. Israele è un paese normale, o meglio: fa di tutto per esserlo. Ci riesce nonostante sia costantemente allerta, circondato da nazioni con cui non nutre rapporti d’amicizia, ma soprattutto sia il risultato di un mosaico che sta insieme per miracolo. La società israeliana non è un blocco monolitico: certo, è preponderante ed evidente l’identità ebraica ma c’è una grande minoranza musulmana e una più piccola di cristiani arabi. E anche all’interno del popolo ebraico c’è quasi tutto il mappamondo, essendo Israele sostanzialmente una nazione di immigrati.

Capisci di non essere in Occidente quando ti immergi nel paesaggio. Se non fosse per i rilievi desertici, le palme e i profumi tutti mediorientali, potresti credere di essere in Spagna o in Grecia. Chi è abituato ad Alpi ed Appennini è colpito dal deserto ma Israele è in realtà una grande area coltivata; milioni di ettari strappati alla desertificazione per la produzione agricola fin dall’arrivo dei primi pionieri ebrei provenienti dall’Europa orientale dopo i primi pogrom, nella seconda metà del XIX secolo. Visto dall’alto, Israele è una macchia verde in un continente giallo ocra.

Israele è una nazione nuova, giovane. Investe molto nella ricerca, nella tecnologia, nell’adeguamento delle infrastrutture. Per tastare il polso della cultura devi farti un giro nei ristoranti, nei bar e nei chioschi che offrono cibo in strada. Il perché è presto detto. Il viaggiatore si accorgerà che non esiste una cucina israeliana vera e propria, ovvero: la cucina israeliana è il risultato delle varie aliyà – ondate migratorie – che si sono susseguite; così, alla base araba fatta di kebab, pita, hummus e falafel – considerevole è stata anche l’immigrazione di ebrei arabi – si aggiungono le cucine turche, russe, etiopi etc. Non è raro vedere ragazzi di origine etiope – altra grande comunità ebraica – con la divisa dell’esercito israeliano – il servizio di leva è obbligatorio per i giovani di entrambi i sessi. Questo melting pot richiama alla mente gli Usa ma la differenza è notevole: la cultura israeliana poggia una base storica millenaria.

Mentre in Italia il bilinguismo è conosciuto soltanto nelle zone di confine con la Slovenia e con l’Austria, in Israele il trilinguismo è la realtà nazionale: tutto, dalle indicazioni stradali alle informazioni generali, è scritto in ebraico, arabo ed inglese. Un aspetto molto importante che testimonia il rispetto di base che c’è nei confronti delle culture con cui la maggioranza ebraica è obbligata a confrontarsi ogni giorno.

Appena vedi Gerusalemme capisci che non è un caso che Dante Alighieri abbia collocato proprio qui il centro del mondo nella sua Comoedia. Per gli ebrei è la capitale del regno, la Città del Tempio; per i cristiani è il luogo dove Gesù è morto e risorto, la Terra Santa; per i musulmani è al-Quds, la città da dove Maometto è assunto in cielo.

Il valore simbolico, sacro ed eterno, di questa terra è tutto in una fotografia che vale la pena guardare dal vivo. È l’immagine in lento movimento con leggero sottofondo che si ha guardando il Muro del Pianto da una certa (spettacolare) angolazione. In primo piano una folla di ebrei ortodossi in preghiera, con il caratteristico movimento ondulatorio, sembra l’ondeggiare del mare su una grande scogliera bianca. Esattamente sopra il Muro del Pianto (che gli ebrei chiamano “Muro occidentale”), si estende la Spianata delle Moschee; il muezzin si sovrappone alle preghiere cantilenate dagli ebrei. Sulla sinistra si intravede qualche campanile che si aggiunge al coro magnifico dell’umanità. Lo sfondo di questa scena è il Monte degli Ulivi, dove Gesù si è recato dopo l’ultima cena. Capisci in quel momento che Dante Alighieri aveva ragione.

Talmente tante le suggestioni e le emozioni che sono ammessi capogiri e sensi di smarrimento improvvisi. Percorrendo pochi metri a piedi puoi passare attraverso le civiltà e i millenni. Diventi un personaggio figurante della storia che hai imparato a scuola o di cui hai discusso nelle assemblee. Improvvisamente le parole si sublimano e diventano realtà. E quando devi fare i conti con la realtà, allora non c’è più spazio per le partigianerie: davanti a te ci sono solo persone che cercano di vivere un’esistenza il più normale possibile, fatta di mercati, autobus, automobili, semafori, caffè e fast-food.

L’armonia dei contrasti non è sempre così idilliaca. Te lo ricordano i soldati israeliani appostati in ogni angolo. Sono giovanissimi, ragazzi e ragazze in assetto da guerra nei cui occhi si legge il dramma accettato assurto a quotidianità. Vorresti fare qualcosa ma non sai cosa. Vorresti separare i litiganti come faresti con due ragazzini che si azzuffano… ma la situazione è molto più complessa. Proprio mentre stai per tirarti indietro, arrenderti all’impossibilità di fare qualsiasi cosa che possa essere risolutiva del conflitto, ti vengono incontro i ragazzi che frequentano il centro “Maas Tlamim” di Megiddo. In questo kibbutz situato nel nord di Israele, le persone con disabilità mentali hanno la possibilità di conquistare la libertà. C’è un allevamento e ci sono degli orti; ci sono persone che gli insegnano a prendersi cura degli animali e delle piante, a rispettare il prossimo. La comunità non abbandona i più deboli, bensì li valorizza per rilanciarli nella società aperta come si spinge un amico sull’altalena.

La grande attenzione della politica israeliana nei confronti dei più deboli, è emersa in un pranzo conviviale tra la delegazione del Modavi ed una rappresentanza del ministero degli Affari sociali; persone che si occupano della promozione del volontariato in Israele e che hanno molto apprezzato il ruolo del servizio civile nazionale italiano, rammaricandosi tuttavia per la discontinuità di questo strumento negli ultimi anni. Israele apre le porte ai volontari ma è molto severo con chi sotto i panni indossa la divisa del militante politico; è benvenuto chi si impegna per costruire un futuro di pace, espulso chi si spende per alimentare il conflitto israelo-palestinese.

Ci sono delle cose che ci si ripromette di fare almeno una volta nella vita, prima di morire. Una di queste è sicuramente qualche giorno in Israele. Un’esperienza da cogliere in ogni suo momento. Se poi volessimo fare di più, fare volontariato è sempre la scelta migliore se si desidera la pace e la serenità per chi non ce le ha. Con il Modavi puoi farlo.